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Storia

Il Museo “illuminato”

Il 21 febbraio del 1775 il granduca Pietro Leopoldo di Lorena istituiva l’Imperiale e Reale Museo di Fisica e Storia Naturale che fu nello stesso tempo il primo museo naturalistico ad essere aperto al pubblico e il primo a presentare la natura nella sua completezza: visitandolo si passava dalla terra (mineralogia) al cielo (astronomia) transitando per la botanica, la zoologia, l'antropologia.

L’idea di raccogliere in un unico luogo le “produzioni naturali” presenti agli Uffizi risale al 1763, quando il naturalista e scienziato fiorentino Giovanni Targioni Tozzetti, per conto del governo granducale, redasse il primo catalogo di tutti i reperti naturalistici presenti nella Galleria. Nel 1765 con l’arrivo a Firenze del giovane granduca Pietro Leopoldo di Lorena prese vita il progetto museale che portò alla realizzazione del “Palazzo della Scienza”, il nobile Palazzo Torrigiani dove ancora oggi ha sede "La Specola", acquistato nel 1771 e ristrutturato in quattro anni dall'architetto Gasparo Maria Paoletti.

Come scrisse il primo direttore, Felice Fontana, naturalista trentino, "questo nascente museo abbraccia non solamente tutta la natura nella sua più grande estensione, ma ancora tutto ciò che di più bello, di più utile ed ingegnoso hanno saputo gli uomini ritrovare o immaginare di grande". Un grande spazio era dedicato all’esposizione degli strumenti scientifici e di fisica sperimentale provenienti dalle collezioni medicee e lo stesso Fontana progettò macchinari e strumenti realizzati dai giovani artigiani che venivano appositamente formati nel museo. Il Regio Museo poteva inoltre contare su un'imponente raccolta di prodotti naturalistici da esporre ai visitatori, reperti mineralogici, fossili, esemplari mostruosi ma anche piante e fiori nell'orto interno al Palazzo. In sei stanze i modelli di anatomia in cera illustravano l’intero corpo umano: la muscolatura, gli organi interni, l’anatomia dell’occhio, dell’orecchio, del naso e del cuore. Dopo il 1780, Fontana si impegnò in un duro lavoro di costruzione di piante artificiali, ossia in cera. L’itinerario museale terminava con le scale che conducevano al Torrino, l’osservatorio astronomico meglio conosciuto come Specola, che fu realmente operativo a partire dal 1807. 

Le raccolte non dovevano soltanto appagare la “curiosità del popolo né servire al suo possessore, ma devono essere indirizzate verso la vera istruzione ed all’utile pubblico”. Gli esemplari dovevano essere “resi parlanti da per loro” in modo che ciascuno potesse “conoscere tutto da se solo, senza professore”. Così come avevano auspicato Diderot e D’Alembert, la scienza fu messa al servizio del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione del Granducato. Ad esempio, la collezione di ceroplastica è corredata di tavole eseguite in tecnica mista, molto colorate, concepite come un trattato esplicativo ai singoli preparati: i disegni erano provvisti di riferimenti numerici che rimandavano a fogli di spiegazione, a disposizione dei visitatori dentro a piccoli cassetti in metallo posti sotto le teche espositive.

Il grande sogno di Fontana, l'istituzione di un'Accademia delle Scienze interna al Museo, si infranse contro la volontà di Pietro Leopoldo, ma il Museo e le sue collezioni divennero una tappa obbligata dei Grand Tour e i lavori di ampliamento delle collezioni proseguirono negli anni. Tutte le Guide della Città di Firenze di fine Settecento suggerivano una visita al Museo per osservare il mondo e l’uomo alla luce delle nuove scoperte scientifiche. Molti intellettuali, tra cui il marchese di Sade, hanno lasciato nei loro scritti accurate testimonianze della loro visita al Museo.

Il grande successo del Regio Museo è testimoniato infine dal rilevante numero di ingressi registrati. Tra il 1784 e l’ottobre del 1785 sono stati oltre 7.000 i visitatori, di cui circa il 30% donne. L’orario di apertura era dalle 8 alle 13 per “il popolo di città e contado che potrà esserci introdotto purché pulitamente vestito”. E dalle ricerche è emerso che l’83,7% dei visitatori apparteneva al “terzo stato”.

Dal sapere naturalistico unitario alle collezioni “specialistiche” dislocate

Alla fine del Settecento gli eventi che sconvolsero l’Europa provocarono serie conseguenze anche nella gestione del Museo. Ferdinando III di Lorena abbandonò il granducato di Toscana all’arrivo delle truppe napoleoniche. Lo stesso Napoleone visitò la Specola e ordinò 40 casse di cere oltre a una statua lignea per Parigi, mai giunte a destinazione e ancora oggi a Montpellier.

Nel 1807 il nuovo governo istituì nel Museo il Liceo di Scienze Fisiche e Naturali, creando sei cattedre (astronomia, fisica, chimica, mineralogia e zoologia, botanica e anatomia comparata). Le collezioni museali furono annesse ai rispettivi insegnamenti e divennero un supporto per la didattica, segnando così la fine dell’impostazione illuminista del Museo ispirata all’unità del sapere.

Con la restaurazione del governo dei Lorena nel 1814 l’esperienza del Liceo si concluse e il Museo fu destinato ad essere luogo del “privato piacere” del granduca. Intorno al 1820 fu realizzato il “Corridoio Pocciantiano” (dal nome dell’architetto Pasquale Poccianti) che collegando il Museo a Palazzo Pitti, rappresentava un camminamento sopraelevato unico al mondo che collega scienza e arte, proseguendo attraverso il Corridoio Vasariano che da Palazzo Pitti, passando per gli Uffizi, arriva a Palazzo Vecchio.

Nel 1829, con la nomina del direttore Vincenzo Antinori il Museo torna ad essere un’istituzione al servizio della scienza e della didattica pubblica.  La nascita delle nuove discipline che studiavano la distribuzione delle specie animali e vegetali rispetto al territorio determinò un forte incremento delle collezioni zoologiche e botaniche rendendo necessaria una nuova distribuzione degli spazi di via Romana. L’”illuminato favore” del granduca Leopoldo II verso le scienze naturali vide sul suolo toscano l’organizzazione di alcuni congressi degli Scienziati Italiani, molto prima dell’Unità d’Italia.

Nel 1841 si tenne nei locali del Museo il terzo Congresso degli Scienziati Italiani e nell’occasione fu inaugurata la Tribuna di Galileo, il tempio laico dedicato al grande scienziato. Il Congresso accolse l’appello del botanico palermitano Filippo Parlatore a creare un erbario generale della flora locale italiana che, raccolto in un unico luogo, avrebbe favorito lo scambio delle conoscenze scientifiche e dei reperti. Analogamente fu accolta la proposta di realizzare una “raccolta geologica e mineralogica delle varie parti d’Italia”. Il progetto fu realizzato successivamente, ridimensionato ai soli fossili, nel 1861, con la nascita della Collezione Centrale Italiana di Paleontologia, oggi custodita nella sede di via La Pira.

La fine della direzione di Antinori nel 1859 coincise con la caduta dei Lorena e la seconda guerra di indipendenza. Nello stesso anno, fondato a Firenze l’Istituto di Studi Superiori, Pratici e di Perfezionamento, il Museo diventa la sede della sezione scientifica del neonato Istituto, diventando così anche laboratorio per la ricerca oltre che luogo di raccolta e fruizione pubblica di reperti naturalistici. La direzione del Museo passa a Cosimo Ridolfi, la docenza assume un’importanza sempre maggiore e le collezioni museali sono affidate alla cura dei professori delle rispettive discipline.

Dal 1865, per un triennio, la direzione è in mano al fisico Carlo Matteucci, sostenitore delle discipline sperimentali, fortemente critico rispetto ai costi del mantenimento delle collezioni naturalistiche e sull’idoneità degli spazi della Specola per la ricerca. Ebbe così inizio la settorializzazione e la specializzazione dei vari insegnamenti: la chimica e la fisica si sentivano sempre più lontane dalle scienze naturali, il naturalista - diventato zoologo o botanico, oppure geologo o mineralista - rivendicava la propria autonomia non solo scientifica e amministrativa ma, soprattutto, esigeva nuovi spazi.

Negli anni successivi le collezioni di Palazzo Torrigiani, prima sede del museo unitario, furono spostate e collocate in diversi palazzi fiorentini. Nel 1872 fu l’astronomia la prima disciplina con relativa collezione museale a migrare dalla Specola verso il nuovo Osservatorio di Arcetri. Dopo la morte di Filippo Parlatore, avvenuta nel 1877, il Museo non ebbe più un direttore e le collezioni furono aggregate ai diversi Istituti scientifici. Il Museo Zoologico rimase alla Specola, i Gabinetti di Geologia e Paleontologia e Mineralogia con le relative collezioni furono trasferiti nel 1880 nella zona di piazza San Marco, in via La Pira, dove si trovano ancora oggi. Gli Istituti di Chimica e Fisica trovarono una collocazione in via Gino Capponi, dove si trovava anche dal 1869 il Museo di Antropologia fondato da Paolo Mantegazza. Sempre nel 1880, il Giardino dei Semplici, in via Micheli, l’attuale Orto Botanico, fondato nel 1545 da Cosimo I dei Medici, venne assegnato all’Istituto di Studi Superiori e divenne il luogo in cui gradualmente e lentamente furono trasferite le piante dalla Specola. I lavori furono ultimati nel 1905. Nel 1930 anche le collezioni storiche di strumenti di fisica e astronomia lasciarono la Specola per essere trasferite, nell’allora Istituto e Museo di Storia della Scienza, oggi Museo Galileo. Nel 1932, infine, il Museo di Antropologia passa dalla sede di Capponi al Palazzo non Finito di via del Proconsolo, dove si trova ancora oggi.

Il secolo breve

Nel corso del Novecento il Museo prosegue il lento percorso di disgregazione inaugurato nel secolo precedente con le vicende napoleoniche da una parte e il riduzionismo epistemologico dall’altro. Il museo è percepito come una mera raccolta di oggetti o, peggio ancora, come un ingombrante peso che richiede spazi, fondi e personale per il suo mantenimento. Pertanto, le collezioni non furono incrementate e molte sale furono destinate ad ospitare i laboratori e le aule necessarie alla crescente popolazione studentesca.

La rinascita del Museo iniziò negli anni ’70 del Novecento, quando fiorisce una nuova sensibilità verso la natura e cresce l’attenzione pubblica alle questioni ambientali con, l’ancor oggi definitiva, presa di coscienza della limitatezza delle risorse naturali del pianeta Terra. I reperti naturali tornarono quindi ad essere un elemento fondamentale per studiare, confrontare e apprendere. Nel 1971 L’Accademia dei Lincei avanzò l’idea di costituire un “Museo Nazionale di Storia Naturale” a Firenze, riconoscendo così alle collezioni naturalistiche ormai dislocate nella città l’assoluta preminenza nel panorama museale scientifico italiano. Un progetto mai compiuto, nonostante i numerosi tentativi posti in atto negli anni da sindaci, rettori e ministri.

Nel 1984 l’Università di Firenze dispose la riunificazione delle collezioni scientifiche e istituisce il “Museo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Firenze” di cui assume la direzione Curzio Cipriani, in carica fino al 2003, che rilancia il Museo, incrementandone le collezioni e ponendo attenzione alla sua fondamentale funzione didattica non solo per gli universitari ma anche per tutti i gradi di istruzione a partire dalla primaria.

Alla fine del mandato di Cipriani l’Università, in conformità al Codice dei beni culturali e del paesaggio, modificava il regolamento del Museo che fino ad allora era stato gestito in forma federativa con sei sezioni a ciascuna delle quali era assegnata una dotazione di risorse finanziarie e umane. Il nuovo Regolamento introduceva la carica di Presidente, rivestita per due mandati da Giovanni Pratesi, mentre la direzione amministrativa era gestita ad interim da dirigenti dell’Ateneo.

Da allora il numero dei visitatori continua a crescere in maniera esponenziale e, parallelamente, l’offerta di visite didattiche e divulgative per le scuole di ogni ordine e grado e per la cittadinanza è cresciuta notevolmente, adeguandosi alle nuove esigenze.

 

Ultimo aggiornamento

13.07.2021

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