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L’immenso bestione si volta verso di me, ed in un momento che mi mostra il petto, con un colpo ben diretto al cuore, lo stendo morto al suolo. (...) Era di già buio quando giungemmo al lankò, stracarichi per le spoglie dei mayas.
Odoardo Beccari, 1902
Il grande maschio di Orango del Borneo presente in mostra proviene dal Museo di Storia Naturale Giacomo Doria di Genova e fu abbattuto da Odoardo Beccari nella primavera del 1867. Appartiene a quella forma matura, con cospicui cuscinetti di grasso che ne rendono largo e piatto il volto, che Beccari chiamava, secondo l’uso locale dei Daiacchi, “Mayas tciapping”.
Le pagine della “disinvolta” caccia di Beccari agli oranghi sono impressionanti e orribili per noi lettori “moderni”. Eppure la drammatica riduzione della specie, oggi, più che dal bracconaggio dipende dalle nostre scelte quotidiane: ricordiamoci di lui, se pensiamo di acquistare prodotti con olio di palma o un parquet con legni tropicali!

Orango del Borneo (Pongo pygmaeus). Disegno originale di Odoardo Beccari. Biblioteca di Scienze dell’Università di Firenze (Sistema Bibliotecario di Ateneo).
Gli oranghi sono tra le scimmie più simili all’uomo, dopo i gorilla e gli scimpanzé. Endemici dell’arcipelago indo-malese, gli studiosi oggi ne riconoscono tre distinte specie, geograficamente e geneticamente separate: Orango del Borneo, di Sumatra e di Tapanuli.
Sono animali pacifici, rigorosamente vegetariani, che trascorrono le giornate in piccoli gruppi famigliari, muovendosi in cerca di foglie e frutti tra le alte chiome degli alberi, rigorosamente protetti dai governi dei tre stati che li ospitano (Indonesia, Malaysia e Brunei) ma ancora fortemente minacciati dalla distruzione degli habitat forestali indispensabili alla loro sopravvivenza.
L'IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) le classifica tutte e tre come “in pericolo critico” (CR).

Ritratti di oranghi maschi. Da sinistra a destra, la specie del Borneo, di Sumatra e di Tapanuli. Foto di Eric Kilby, Aiwok e Tim Laman, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons